Scrittrici partigiane: Giovanna Zangrandi

Il centenario della nascita di Giovanni Zangrandi (1910-2010) è stato l’occasione perché il Liceo-Ginnasio “Galvani” di Bologna, in cui essa fu studentessa dal 1923 al 1929, colmasse un “vuoto di memoria”, tornasse a parlare di lei e le intitolasse la sua futura aula magna. Giovanna allora non si chiamava Giovanna Zangrandi ma Alma Bevilacqua e tale rimase fino al trasferimento volontario in Cadore, che segnò per lei l’inizio di un’ altra vita.

Alma Bevilacqua nacque a Galliera il 13 giugno 1910 da Gaetano, veterinario, e da Maria Ebe Tardini. Il padre proveniva da una numerosissima famiglia del luogo, di condizione abbiente, ma colpita da varie forme di nevrosi e schizofrenia. I suoi undici fratelli soffrirono di forme anche gravissime di disturbi mentali ed egli stesso morì suicida nel settembre del 1923 quando Alma aveva appena tredici anni. Il timore di essere toccata dalla pesante dote di dolore della famiglia paterna certo favorì la fuga di Alma in Cadore e, per tutta la vita, la tormentò.

La madre era una donna forte, coraggiosa, una casalinga colta che non perdeva occasione per leggere, decisa a far studiare la figlia, sia pure con sacrifico, poiché a lei la continuazione degli studi era stata negata, secondo le consuetudini dell’epoca che privilegiavano i maschi rispetto alle femmine.

Alma frequenta la scuola elementare a San Vincenzo di Galliera fino alla quinta, quando viene ritirata per motivi di salute nel corso dell’anno scolastico. Ma la ragione vera probabilmente è che i genitori, nella speranza di veder migliorare la salute del padre, si trasferiscono a Desenzano sul lago di Garda, dove Alma frequenta con ottimi risultati il ginnasio statale “Bagatta” per due anni. Nel 1923, poco dopo il suicidio del padre, Alma va a vivere con la madre a Bologna dove viene iscritta in terza ginnasio al “Galvani”. Di loro si prende cura, in particolare, uno degli zii paterni. Alma detesta lo zio, detesta la città, detesta la scuola che frequenta, insegnanti e compagni compresi. A Bologna Alma ottiene la licenza liceale nel 1929.

Consegue la laurea in chimica nel 1933 con 108 su 110. L’anno dopo supera l’esame di abilitazione alla professione di chimico e consegue il diploma in farmacia. Rimane come assistente volontaria a Geologia ma nel 1937, quando muore la madre, decide di trasferirsi in Cadore, dove ha trovato un posto di insegnante di scienze a Cortina nell’istituto privato “Antonelli”. Alma ha conosciuto il Cadore, fino ad allora, durante le vacanze estive e gli è apparso non solo un luogo di incomparabile bellezza naturalistica ma anche una terra in antitesi con quella della sua nascita: una terra dove la gente è più autentica, più sana, più forte e dove lei può mettere alla prova la sua audacia, il suo corpo e il suo spirito.

Poi me ne andai lontano da quelle larve superstiti, fantasmi, tombe e loculi di marmo verde, via, tra gente viva, semplice, forte, senza gretti egoismi di clan, senza caste.

Alma sarà maestra di sci, arrampicatrice, guida, in questo aiutata da un corpo piccolo, tozzo e muscoloso, che non le piace esteticamente ma che le consente di sfidare se stessa e la natura.

La passione per la scrittura la porta a pubblicare su giornali locali fascisti articoli di carattere scientifico. Alma è cresciuta in una scuola e in una università fasciste e, nonostante le riserve critiche della madre nei confronti del regime, non ha sviluppato apparentemente nessuna forma dichiarata di ostilità, ma solo fastidio per certe imposizioni o per la retorica roboante e la rumorosità di certe manifestazioni. Ma con l’8 settembre 1943 matura in lei la decisione di unirsi alle formazioni partigiane e, approfittando del vantaggio che la sua attività di insegnante a Cortina e a Pieve le dà, cioè quello di poter passare per lavoro (e quindi senza destare sospetti) il confine del Reich, che era stato posto a Dogana, diventa staffetta, assumendo il nome di Anna, che è quello con cui continuerà ad essere chiamata in Cadore.

Nel clima di fervore e speranza del dopoguerra, dirigerà un giornale locale “Val Boite” in cui non esita ad attaccare quanti cercano di far dimenticare il loro passato fascista per opportunismo, creandosi molti nemici. Nel 1946, decisa a non riprendere mai più il mestiere di insegnante, Anna costruirà, impegnandosi con tutta la sua forza fisica e mentale, un rifugio nella sella di Pradonego sotto il monte Antelao. Lo gestirà fino al 1961 quando lo cederà al CAI, non essendo riuscita a guadagnarci da vivere.

Ha cominciato però a pubblicare con successo racconti e romanzi, poiché è la scrittura la vera passione della sua vita. Sono cominciati anche i mutamenti di nome. Alma diventa Alda, poi sarà Anna e alfine Giovanna. Il cognome letterario diventerà Zangrandi. Nel 1951 esce una raccolta Leggende delle Dolomiti che testimonia il profondo legame di Anna con la sua nuova terra. Nel 1954 esce presso Mondadori, nella collana “La Medusa degli Italiani” il romanzo I Brusaz, che ha come protagonista una straordinaria figura femminile, Sabina. L’opera le vale il premio Deledda, prestigioso nell’Italia di allora. Anna decide di prendere la patente e di acquistare un’automobile, una 600 Fiat, l’icona del boom economico italiano. Nel 1957 uscirà, sempre presso Mondadori, un altro romanzo, Orsola nelle stagioni, con un’altra donna protagonista. La notorietà le ha consentito collaborazioni con quotidiani e settimanali nazionali. Anna si è trasferita da Cortina a Borca di Cadore dove si costruisce una casetta al limitare del bosco e dove avrà come inseparabile compagnia il cane Attila.

Nel 1959 viene pubblicato da Ceschina (la Mondadori aveva tenuto il manoscritto a lungo ma non aveva preso una decisione) Il campo rosso. L’estate del 1946, ove l’autrice racconta l’esperienza della costruzione del rifugio. L’opera le vale il Premio Bagutta che suona come una rivincita nei confronti della Mondadori. Del resto, i rapporti di Anna con il mondo dei letterati e delle case editrici non è buono.

Non molto tempo dopo compaiono i primi segni del male che segneranno dolorosamente gli ultimi anni della sua vita, togliendole anche la possibilità di scrivere. Decide allora di affidare ad un’opera in forma di diario l’esperienza esaltante che aveva vissuto vent’anni prima come staffetta partigiana. Nascono I giorni veri, pubblicati ancora una volta da Mondadori, forse il capolavoro della letteratura resistenziale al femminile. E’ il 1963. Nel 1966 esce Anni con Attila, una raccolta di sette straordinari racconti, di cui La sahariana, storia di una giacca che accompagna tutte le “stagioni” di Anna, si presenta come una vera e propria sceneggiatura della sua vita. Negli anni Settanta, escono una guida di Borca, Il diario di Chiara, ambientato nel 1848 trentino, Racconti partigiani e no e Gente alla Palua, una raccolta di racconti tra cui Il 47° cromosoma, preziosissimo per la ricostruzione di alcuni momenti della sua vita emiliana. L’idea di scrivere una grande storia della sua famiglia paterna, quella da cui era scappata nel 1937, era stata coltivata da Anna a più riprese ma ormai la difficoltà di scrivere aveva preso il sopravvento.

Occorre non dimenticare l’impegno di Anna nelle istituzioni politiche locali, continuata nonostante la malattia, e caratterizzata, come ricordano quelli che l’hanno conosciuta, da una spiccata attenzione alla vita concreta della gente.

Gli ultimi anni sono tristissimi. La malattia le toglie l’autosufficienza. Il carattere le ha sempre impedito di chiedere aiuto agli altri. Molti del resto sono morti, altri si sono dimenticati di lei. L’unico che la assiste e si preoccupa di assicurarle da vivere è l’amico Arturo Fornasier, il giovane partigiano “Volpe” de “I giorni veri”, conosciuto nel 1944 in mezzo alle sventagliate di mitra di un rastrellamento nazista, a cui entrambi erano scampati. Fornasier è stato il suo consigliere finanziario, l’amico che l’ha assistita fino all’ultimo rimanendo presente anche alla sua morte. Dopo è stato il custode vigile e attento del suo archivio, che oggi, riordinato e studiato da Myriam Trevisan, rimane depositato nella casa dei Fornasier a Pieve di Cadore.

Anna è morta il 20 gennaio del 1988 ed è sepolta, per sua volontà, accanto a suo padre e sua madre nel cimitero di san Vincenzo di Galliera nella tomba di famiglia dei Bevilacqua, ove riposano anche i nonni e gli zii.

[a cura di Meris Gaspari]